Roberto Bombarda - attività politica e istituzionale | ||||||||||||||||||||||||||||
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Trento, 18 ottobre 2007 La recente, impressionante frana di Cima Una in Val Fiscalina (Dolomiti di Sesto) pur rientrando nell’ambito di una fenomenologia da sempre esistente in montagna è stata giudicata da alcuni insigni scienziati come uno dei possibili effetti dei mutamenti climatici registrati in ambito alpino nell’arco dell’ultimo secolo, particolarmente accentuatisi nel corso dell’ultimo decennio. Numerosi crolli e smottamenti verificatisi negli ultimi tempi sono infatti almeno in parte collegati alla riduzione del permafrost, “legante naturale” della montagna. A questo proposito l’Ufficio federale dell’Ambiente della Confederazione Elvetica ha recentemente pubblicato uno studio dal titolo “Il cambiamento climatico in Svizzera – Indicatori riguardanti cause, effetti e misure”. Una parte dello studio riguarda proprio i possibili effetti dei cambiamenti climatici sul permafrost e le conseguenze che questa situazione può generare sulle strutture realizzate dall’uomo in montagna nell’arco degli ultimi decenni. Nello studio si afferma che “vi è permafrost ovunque la temperatura del sottosuolo rimanga sotto lo zero per tutto l’anno. Grandi estensioni di permafrost si trovano nelle regioni artiche e antartiche, ma anche nelle zone di alta montagna come le Alpi vi sono molte fasce detritiche, pareti rocciose e terreni permanentemente ghiacciati. Lo spessore del permafrost nelle Alpi varia da poche a parecchie centinaia di metri. Il permafrost reagisce alle variazioni del bilancio energetico sulla superficie. Poiché ha un’azione isolante, il manto nevoso invernale influisce fortemente sull’evoluzione della temperatura del sottosuolo. Inverni con poca neve, come ad esempio quello 2001– 2002, sono nettamente più freddi di inverni con molta neve, come quello 2000–2001. Quando in estate il suolo non è coperto dalla neve, lo strato superiore del permafrost si scioglie in superficie a causa della temperatura dell’aria e dell’intensità dei raggi solari. Lo spessore di questo cosiddetto strato di gelo-disgelo costituisce un segnale climatico diretto. Delle 1894 ferrovie di montagna e funivie presenti in Svizzera, 288 sono ancorate nel permafrost. Per via dei processi di scioglimento osservati a questo livello si sono già rivelati necessari negli ultimi anni investimenti per nuovi ancoraggi e per il risanamento di alcuni impianti. Sul Corvatsch, nell’Alta Engadina, sono stati ad esempio investiti 12 milioni di franchi per la sicurezza degli impianti. Esempi di altri comprensori sciistici già colpiti da processi di scioglimento del permafrost sono lo Schilthorn (Mürren), il Gemsstock (Andermatt), la Diavolezza e il Piz Nair (Engadina), come pure il Bettmeralp e il Grächen (Vallese). A causa dello scioglimento del permafrost, l’Ufficio federale dei trasporti (UFT) ha classificato come problematiche anche altre ferrovie di montagna e funivie e sta controllando, in collaborazione con l’UFAM, tutti i 650 impianti con concessione federale per valutarne l’esposizione al rischio. Le perizie saranno disponibili entro la fine del 2007. È già pronta invece una panoramica delle potenziali zone di permafrost: la cosiddetta carta del permafrost. Essa è a disposizione dei Cantoni perché possano verificare le loro carte dei pericoli ed eventualmente aggiornarle”. Ritornando al Trentino, sempre più spesso vengono segnalate anche sulle nostre montagne modifiche a tracciati alpinistici ed escursionistici dovute al ritiro dei ghiacciai e del permafrost – tanto che la stessa SAT nell’ultimo numero del suo Bollettino ha invitato i soci a comunicare eventuali riscontri sul territorio - ed appare dunque opportuno monitorare queste situazioni anche per escludere che possano danneggiare strutture fisse quali rifugi od impianti di risalita e parti di tracciati alpini. Ciò premesso il Consiglio impegna la Giunta provinciale 1. ad avviare un monitoraggio sull’intero territorio trentino per rilevare eventuali conseguenze su attività umane – impianti di risalita, rifugi, tracciati alpini - derivanti dallo scioglimento del permafrost; 2. a predisporre, nell’ambito dell’iter del Piano urbanistico provinciale o del suo aggiornamento, una nuova carta delle potenziali zone di permafrost e ad aggiornare la carta della pericolosità, segnalando le aree nelle quali la possibile riduzione del permafrost potrebbe causare problemi; 3. a controllare nell’arco di un triennio tutti gli impianti di risalita ed i rifugi alpini per valutare l’esposizione al rischio. Cons. prov. dott. Roberto Bombarda |
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